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Intervista a Rudy Bandiera, condivideTE et imperaTE

Con Rudy Bandiera si aprono le danze ad un ciclo di interviste rivolte alle personalità più influenti del web

 

La scorsa settimana abbiamo intercettato e intervistato Rudy Bandiera, giornalista, blogger, docente e “influencer”: una persona esplosiva e piena di entusiasmo che ci parla del suo lavoro, ci anticipa i segreti dei social, con un finale a sorpresa…

Da leggere tutta d'un fiato!

 

Rudy, quando ti sei accorto di essere diventato un influencer? Quando hai deciso di diventarlo e perché?

Questa è una domanda che mi incasina da morire. Allora intanto SE lo sono - perché sappiamo tutti che se sei un medico è perché hai fatto un percorso di studi che ti ha portato a diventare un medico, idem se sei un notaio o un giornalista. Ma se sei un influencer non sei nessuno; allora è difficile definire quando qualcuno lo è, posto che lo sia. Voglio dire che la popolarità da sola non è “influence” quindi io non so mai se definirmi tale. Però c'è un segnale che può darti un parametro: gli hater che ti seguono. Più hai un grado di popolarità e di influenza su un certo settore e più ci sono persone che sono in disaccordo con te, ti attaccano personalmente anche al di là di quello che fai per lavoro e parlano sempre più spesso di te. Quindi, secondo me, un metro dell'influenza non è tanto quante persone raggiungi ma quante persone parlano di quello di cui tu parli.

Intendi sia il parlar bene sia il parlar male…

Certo assolutamente, se io scrivo qualcosa e 10 persone attorno ne scrivono per dire che è una figata o una stupidata, che sono un genio o che sono un idiota, questo è un metro di “influence”.

C'è qualche precauzione che prendi in questo senso, visto che il fenomeno degli hater è sempre più diffuso? Ci sono anche tante personalità sul web che cercano di trovare delle soluzioni visto che spesso sono perseguitate. Qual è la tua posizione in questo senso? Come pensi si svilupperà?

In primis, se sei una donna e sei popolare, bellissima, queste 3 cose già ti rendono un bersaglio. Purtroppo il mondo è fatto così. La gente tende ad accanirsi di più verso una donna specie se è bella, è sconcertante ma è così. E se parli della quotidianità, cioè parli di cose del qui ed ora, lo è ancora di più; lo scrivevo proprio ieri che il qui ed ora eccita di più le folle. Io invece sono un influencer di nicchia, se vogliamo, parlo di tecnologia, di comunicazione, di digital. Quindi bene o male sono meno soggetto e ho il fianco meno esposto. Detto questo, che cosa faccio io? Generalmente cerco di capire. Questa mattina un utente mi ha dato del pagliaccio per i miei corsi. Questa persona non mi conosce, io non so chi sia, non abbiamo mai parlato, lavorato insieme. Quindi, posso esserti antipatico però non puoi darmi del pagliaccio perché tu non sai niente di me. Ecco, secondo me il confine è questo: puoi avere la percezione nei confronti di qualcuno però quando lo attacchi direttamente per qualcosa che di fatto non sai, diventi un'altra cosa, un hater appunto. Allora bisogna far due cose:

1) respirare con il diaframma (fiuu, ndr);

2) non considerare queste persone, perché comunque è fisiologico che una percentuale di questi individui ci sia.

Poi invece c'è un'altra parte: quella che proprio scrive in maniera accanita di te o di cose che fai. In questo ultimo caso è bene bloccarle, secondo me.

Se vogliamo allargare il campo possiamo chiederci “cosa si può fare in questo settore per cercare di mitigare?”. Secondo me c'è solo una cosa che si può fare e ti sto per dire la cosa più banale dell'universo, una questione culturale. Il mondo dei social 10 anni fa non c'era e quindi noi abbiamo degli atteggiamenti e dei comportamenti di retaggio educativo che sono basati sulla vita reale e quelli li rispettiamo. Quindi non è che noi usciamo da un bar e se vediamo uno che ci sta antipatico gli diciamo “sei un idiota” perché nella vita reale non si fa, sui social sì. Sui social sì perché c'è questo fenomeno di disinibizione, cioè la gente si sente in diritto/dovere di fare quello che vuole: secondo me non possiamo fare altro che cercare di educare. Io sto facendo incontri, ad esempio, con i giovani nelle scuole. Ovviamente non sono il premier, però ognuno di noi deve fare un pezzo e prendersi un pezzo di responsabilità su questo.

A tal proposito, poco tempo fa su Repubblica è stato pubblicato uno studio di Patricia Wallace, docente della Graduate del Maryland Universityche ha parlato di un'attività che si mette in atto sui social, secondo la quale “la maggior parte delle persone si costruisce e mantiene online una versione potenziata di se stessa che valorizza le caratteristiche positive e smorza quelle negative quindi si crea un altro personaggio rispetto al reale”. Che ne pensi?

Guarda non avevo letto questo articolo e aggiungo che avevo fatto un articolo tempo fa in cui scrivevo che ognuno di noi si costruisce un personaggio, tutti noi lo facciamo. Non è che c'è chi lo fa e chi non lo fa, lo facciamo tutti. Noi costruiamo un personaggio online; il punto è che più è aderente a quello che facciamo realmente, più è funzionale e magnetico da un certo punto di vista, nel bene e nel male. Mentre invece cosa si tende a fare in genere? Si tende a dopare, a drogare la nostra immagine e a portarla a dei livelli superiori rispetto a quelli reali, quindi la vita sembra sempre magnifica, il lavoro sembra sempre straordinario. Oppure c'è l'altro lato che emerge come la frustrazione e quindi sei arrabbiato con i politici, con la vita che è cattiva e ti scateni. La realtà è che noi nella vita non siamo così, noi siamo un po' tutto questo. Allora perché sui social no? Perché dobbiamo costruire qualcosa che sia o bianco o nero, che sia quello cattivo che attacca oppure il duro o l'allegrone? Noi siamo un po' tutto quindi dimostriamo tutto: non c'è niente di male a farlo, anche a livello professionale. Qualche giorno fa su Instagram ho postato una foto: mi sono levato le scarpe, mi sono messo sul DivanONE, mi sono sdraiato e ho scattato una foto ai piedi scrivendo “sono capaci tutti a farsela in spiaggia una foto ai piedi e in ufficio chi è che se la fa?". Questa cosa qui non fa di me una persona o un professionista né migliore né peggiore, però è un lato che non vedo perché non debba uscire. Credo che dovremmo cercare di essere tutti un po' più noi stessi.

Anche nel tuo libro “Condivide et Impera” il sottotitolo è “convinci con il cervello, persuadi con il cuore, influenza per come sei”. Mi aveva colpito questo claim perché i social sono spesso considerati luoghi fittizi dove è difficile emergere per come si è. Tu che ricetta usi? Ti schermi in qualche modo oppure riesci ad essere libero e a confrontarti con il movimento sulla rete?

Ognuno di noi vive questa cosa nel proprio modo e secondo me ognuno di noi ha una sfera che io chiamo "di intimità". Questa sfera di intimità può essere più grande o più piccola: dentro questa sfera di intimità io non ci voglio far entrare nessuno se non quelli che scelgo, che mi stanno realmente vicini e quindi quello che c'è realmente in questa sfera non lo condivido. Al di là di questa, secondo me c'è un‘intera vita che può essere condivisa. Dico una cosa dal punto di vista lavorativo: se ad esempio io di mestiere propongo corsi online o su Facebook, mi chiedo: “Perché qualcuno dovrebbe scegliere me quando ci sono 100 corsi su Facebook?” Mi sceglierà perché:

1) gli do un senso di sicurezza e di fiducia;

2) in qualche modo si trova in sintonia, gli sto simpatico.

Bisogna semplicemente esporsi nella maniera più naturale possibile senza eccedere ovviamente, rimanendo nei binari di quello che si fa nella vita: io non parlo mai di politica per capirci o di economia internazionale perché non è quello che faccio.

C'è un parte che ti piace di più o una che ti piace di meno dei social?

Tu non ci crederai, ma mentre aspettavo la chiamata ho scritto una cosa che pubblicherò appena metto giù il telefono. Sono due le cose più irritanti che ci sono sui social: la politicizzazione, ovvero le persone che politicizzano su tutto. Nel senso che tu puoi parlare di futuro o di tecnologia ma loro parlano e passano alla politica e alle sue responsabilità, nessuno ha responsabilità per loro ma solo i politici. E la seconda è il giudizio, che non è la critica ma è quello che ti dà del “pagliaccio” senza sapere assolutamente niente di te. Questo non si può fare, io non mi permetterei mai di andare da qualcuno che non conosco dicendogli una cosa del genere, è folle e nella vita reale non si farebbe e allora "perché sui social lo fai?". Mentre invece una cosa che mi piace da morire è il confronto e non lo dico per piaggeria. Io sono uno che si confronta costantemente e risponde a tutti e spessissimo trovo delle cose che sono assolutamente illuminanti. Con il post che ho pubblicato l'altro giorno sull'e-commerce, sui cannibali dell'e-commerce, ho trovato persone che hanno tantissimo da insegnarmi e che mi hanno fornito degli spunti veramente interessanti ai quali io non sarei arrivato da solo. In questo caso i social possono essere un mezzo potente.

Quando ti sei avvicinato ai social?

Da subito. Sì, anche perché per fortuna non sono vecchi quindi siamo tutti neofiti. Mi sono iscritto a Twitter nel 2008 e nel 2008 in Italia credo di esserci stato solo io, c'era l'eco.

Quali di questi social, soprattutto per la generazione nuova, tu pensi che prenderà più piede? Tra Youtube, Facebook, Instagram...

Secondo me c'è un grande polarizzatore che è Facebook, questo ormai è innegabile. Facebook, Instagram, WhatsApp, Messenger da soli sono una roba che non è mai esistita, non c'è niente da fare. Facebook è popolare e vecchio come target, Instagram è molto giovane e relativamente popolare. WhatsApp è quel dark web che sta prendendo piede. La gente invece che condividere pubblicamente condivide con i tremila contatti che ha in rubrica e che comunque sono un numero enorme di persone e funziona (come per Snapchat, le Stories, ecc.). Tutte le conversazioni private, private ma anche di gruppo, stanno avendo un grande grande successo. Twitter ha preso la forma che avrebbe dovuto sempre prendere anche se le persone lo usano poco. La forma di Twitter è un broadcast uno/molti: ci parla Trump, ci parla Renzi e noi poveri cani non contiamo nulla, leggiamo quello che dicono gli altri, fine. È nato con questa struttura (e non cresce).

Secondo me il "dark web" inteso come stanzone privato, dai gruppi segreti di FB alle chat di gruppo in WhatsApp oppure Telegram, sono in grande esplosione. Molto interessante invece e non lo avrei mai detto un anno fa, è Linkedin perché si è “facebookizzato” e allora i duri e i puri di Linkedin lo ritengono una violenza, cioè dicono “è diventato una schifezza”. Invece, se io fossi un investitore di Linkedin sarei molto più felice adesso che un anno fa e oltre a questo con Linkedin oggi fai dei numeri impressionanti. Il post che ho pubblicato qualche giorno fa sulle stranezze dei social ha raggiunto 30.000 views in 24 ore: non esiste un altro social non a pagamento che ti permette una cosa del genere. È diverso da Facebook ma se si usa con la testa secondo me dà grandi soddisfazioni.

Vedi un futuro anche su questo, proprio Linkedin che è considerato il mezzo forse più aziendale...

Il punto è che si sta sdoganando un tipo di comunicazione che non è più aziendale, cioè chi ci andava solo per inserire il CV e cercare quello degli altri deve capire che non è più così: Microsoft non ha speso 26 miliardi per una piattaforma perché ci fossero 4 persone che si scambiano il curriculum quindi secondo me sta cambiando faccia.

Utilizzi molto il video, un mezzo immediato, e anche il tuo linguaggio è semplice a differenza di altri addetti ai lavori che usano tecnicismi continui quando parlano. Perché hai scelto dei mezzi così immediati?

Dipende da con chi vuoi parlare, siamo sempre lì, a chi vuoi arrivare. Io non voglio parlare con i competitor. La mia mission, nella mia testa, è cercare di, passami il termine, alfabetizzare e scolarizzare il più possibile chi altrimenti non sarebbe in grado di recepire quelle informazioni.

Cioè prendo un'informazione complessa, come ad esempio l'intelligenza artificiale di cui sta parlando Elon Musk, e la rendo fruibile. Alla persona “normale” non importa assolutamente nulla ma siccome stanno realizzando delle auto a guida autonoma, anche la persona normale tra tre anni avrà un auto a guida autonoma quindi in qualche modo gliene deve importare. Ecco, io è a quelli lì che voglio parlare, il mio fine è questo. Mi rendo anche conto che il video è immediato, potente e molto complesso come contenitore. È difficile realizzare ogni giorno video, da ogni punto di vista, quindi io uso una comunicazione semplice, un linguaggio semplice su un mezzo estremamente complesso. Questo è un dualismo che mi piace molto e che secondo me funziona perché poi chiunque dice “ah ma sono capace anche io di fare una cosa così” ma non è vero, è quello il bello.

Ti chiedo di darci 3 consigli, suggerimenti, per creare delle relazioni digitali ma soprattutto per mantenerle…

Io dico sempre che attirare l'attenzione è facilissimo, mantenere l'attenzione è complicato. Cioè se io adesso mi metto completamente nudo, con il mio telefono su un cavalletto sul mio balcone e corro in strada, faccio probabilmente centinaia di migliaia di views senza pagare. Però non ho ottenuto assolutamente nulla, non lo posso replicare e l'attenzione scade nel momento in cui finisce il video e quindi non è attirare l'attenzione che è complesso è mantenerla e dunque, “come si fa?”.

C'è solo un modo ed è generare contenuti di qualità, costanti. Dico sempre che il sito del mio socio Riccardo Scandellari Skande non è uno dei siti più letti in Italia in ottica di personal branding perché lui scrive meglio di tutti gli altri o perché lui ha le idee più brillanti di tutti gli altri ma è perché lui tutti i giorni, da anni e per anni, ti dà un contenuto che è utile e questo qui è una difficoltà incredibile. Come dicevo anche in un video non è che se fai un contenuto e diventa popolare, è un contenuto efficace. Cioè "l'efficacia qual è per me Rudy Bandiera?" È che qualcuno si iscriva ai miei corsi oppure mi inviti a tenere dei corsi in azienda, cose così. Quindi, se io non ottengo questo risultato, il contenuto non è efficace. Se io scrivo delle cavolate sulla Spal che è andata in serie A, o su Borriello che ha dei bellissimi tatuaggi, probabilmente faccio un milione di like che non mi servono a nulla. Il concetto è questo: bisogna avere dei contenuti che siano utili, funzionali e spalmabili nel tempo il più possibile.

Tu hai definito il tuo libro "antropologico" ed anche dal tuo profilo e dalle tue parole emerge questa prospettiva. Lo fai perché ti interessa questo aspetto? Vuoi approfondire più questo che non la parte tecnologica?

Sì sì. Io amo tremendamente tutta la parte biologica che c'è dietro questa tecnologia. Alla fine Facebook è affascinante ma è affascinante perché ne facciamo un uso piuttosto che un altro, perché riesce a interpretare i comportamenti, gli atteggiamenti, riesci a capire gli altri oppure no. Insomma è affascinante tutta questa parte qua. Io quando parlo di Intelligenza Artificiale e ne parlo spesso; non è che ne parlo perché sono affascinato dalla questione tecnologica ma dal fatto che l'Intelligenza Artificiale per essere definita intelligenza deve essere anche etica: ci costringe a metterci in discussione sull'etica, ci costringe a parlarne e quindi è tutto legato a noi ed è assolutamente la parte più bella. Questi sono mezzi e in quanto tali non sono il fine. Il fine siamo noi, "ammazza che frase questa qua!”.

Ci ritroviamo su questo e ti ringrazio anche di questi confronti perché sono molto utili. Ci sono molte visioni da questo punto di vista però io credo che questa sia la più interessante...

Certo e per fortuna non tutti la vedono così sennò sarebbe un macello. Parlavo con dei ragazzi tempo fa che sono dei programmatori e loro ragionano in termini di codice, non gliene frega nulla di quello che viene al di là della tastiera ed è giustissimo; dipende da come si è fatti e da quello che si vede. Poi le sinergie tra le diverse teste fanno la società in cui viviamo.

Con Net Propaganda Academy, insieme a Riccardo Scandellari, state avviando un percorso formativo molto interessante. Come è nata l'idea? Che obiettivi vi prefiggete?

Ci è venuto in mente per un motivo piuttosto semplice. Ci siamo detti “ma noi che prodotto abbiamo da vendere?”. Il nostro prodotto, a livello imprenditoriale, siamo noi, è il nostro know how, la nostra consulenza. Ci siamo quindi detti: "Perché non proviamo a costruire un prodotto nostro, che sia esattamente quello che siamo noi, raccontato e spiegato agli altri e ovviamente declinato sotto altre forme?". Poi abbiamo pensato di chiamare quelli che secondo noi sono i più bravi professionisti dei vari settori per tenere dei corsi come ad esempio Veronica Gentili per Facebook Ads.

Ultima domanda, è un po' marzulliana ma te la facciamo lo stesso. Rudy Bandiera che domanda farebbe a Rudy Bandiera?

Allora è una cosa a cui ho pensato diverse volte. Quello che mi chiedo tutti i giorni è “che cosa vuoi fare da grande?” perché detto fra noi “io non lo so”. È come chiedermi: "Cosa farò tra tre anni? Farò ancora dei video in cui spiego delle cose oppure no?" Non ne ho proprio idea. Mi piacerebbe avere una visione un po' più a lungo termine di quello che farà Rudy Bandiera nel futuro ma in realtà credo non si possa avere perché è il mondo che sta cambiando sotto i nostri piedi.

Questa Academy di cui ti ho parlato è una cosa che è uscita nei nostri cervelli da 6 mesi e ci abbiamo riflettuto un po', abbiamo costruito una landing, i contenuti ecc... ma io tra un anno vorrei che questo diventasse il nostro business, il nostro core, e un anno fa non lo avrei mai detto, per capirci, quindi faccio fatica a dire “e tra due anni? Chissà! Farò il cinema. Credo di fare il cinema”.